Quali sono i danni provocati alla salute dalle fibre vetrose?
Le fibre artificiali vetrose (FAV) hanno raggiunto un alto livello di diffusione e utilizzo dopo la messa al bando dell’amianto, e, la rilevante importanza commerciale dovuta al largo impiego in molti settori produttivi, rende indispensabile una maggiore tutela della salute della popolazione dei lavoratori esposti. In quest’ottica, lo scorso 25 marzo è stato approvato il documento “ Le fibre artificiali vetrose (FAV): linee guida per l’applicazione della normativa inerente ai rischi di esposizione e le misure di prevenzione per la tutela della salute” (1), ampiamente trattato nei precedenti articoli di questa newsletter. Nel presente articolo si intende proporre una sintesi delle principali conoscenze relative alle fibre artificiali vetrose, con particolare riferimento all’esposizione occupazionale e agli effetti sulla salute.
Definizione e caratteristiche chimico-fisiche
Le Fibre Artificiali Vetrose appartengono alla categoria delle fibre artificiali inorganiche e si possono suddividere in filamenti e lane. Diametro e lunghezza delle FAV variano in funzione del processo produttivo adottato (vedi Fig.1, pag.3). L’eterogenea composizione delle FAV può variare molto a seconda dell’utilizzo finale (diverse caratteristiche fisiche e chimiche per garantire performance diverse), delle modalità di produzione e della biopersistenza (tendenza a produrre fibre meno biopersistenti per evitarne i potenziali effetti nocivi) (2, 10), ma determina anche i potenziali effetti sulla salute legati all’esposizione a FAV.
Le modalità di produzione e la performance tecnologica del prodotto che si vuole ottenere, rendono, infatti, la composizione chimica delle FAV estremamente variabile. Le materie prime sono materiali estratti da miniere o cave (sabbia, argilla, pietre calcaree, dolomite, rocce di basalto), prodotti chimici di sintesi (ceneri di soda, borace, acido borico, allumina) e prodotti secondari di altri processi produttivi (scorie di altoforno). La Silice (SiO2) è il composto più rappresentato in tutte le FAV (circa il 50%), ma sono spesso presenti in quantità variabile anche ossidi di Alluminio, Calcio, Magnesio, Bario, Zinco, Sodio, Potassio, Ferro, … (Al2O3, CaO, MgO, BaO, ZnO, Na2O, K2O, Fe2O3, FeO, …).
Esposizione occupazionale
La produzione di fibre minerali artificiali è aumentata notevolmente negli ultimi anni. Nel 2001, si stima che più di 9 milioni di tonnellate di fibre minerali vetrose siano state prodotte da più di 100 aziende nel mondo. La maggior parte è usata per l’isolamento termico e acustico. Negli ultimi anni, lane ad alto contenuto di composti dell’alluminio e a basso contenuto di silicati stanno sostituendo le lane di roccia e di scoria. Le fibre di vetro per scopi speciali hanno una produzione limitata, ad esempio, quella con diametro di piccole dimensioni sono usate per filtri e nelle batterie. Le fibre di vetro a filamento continuo sono in genere usate per rinforzare la plastica e i tessuti. Le fibre ceramiche refrattarie, prodotte per la prima volta negli anni 50, sono usate in applicazioni dove si usano temperature molto elevate.
In generale, se il diametro delle fibre diminuisce, la concentrazione della frazione di fibre respirabile aumenta così come il rapporto tra la frazione respirabile e quella totale. L’esposizione è diminuita nel corso degli anni. Attualmente si aggira intorno a 0.5 fibre respirabili/cm3 come valore medio ponderato sulle 8 ore lavorative. I livelli più elevati sono stati riscontrati nella produzione di fibre vetrose per scopi speciali e di fibre ceramiche refrattarie, nell’installazione di materiale isolante non pannellare e nella rimozione di prodotti per l’isolamento. Si sono riscontrate notevoli differenze nella concentrazione di fibre tra stabilimenti che producevano tipologie diverse di FAV con livelli piuttosto bassi nella produzione di lana di vetro (0.03 ff/cc) e di fibre a filamento continuo (inferiore a 0.003 ff/cc) e concentrazioni decisamente superiori nella produzione di lane di roccia e di scorie (0.2 – 2.0 ff/cc) e ancora più elevati in quelle di microfibre di vetro (1-50 cc/ff) e di fibre ceramiche (0.008-7.6 ff/cc) (10, 11, 12, 13).
Durante l’utilizzo, i livelli di fibre sono comparabili o inferiori a quelli trovati nella produzione, ad eccezione delle operazioni di applicazione a spruzzo in spazi confinati come nell’isolamento di attici, navi e aeroplani. I valori riscontrati sia outdoor sia indoor in contesti non professionali sono più bassi di 2-3 ordini di grandezza rispetto a quelli misurati in setting professionali (2, 3). Nella Tabella 1 sono riportati, infine, i valori limite di esposizione in ambiente di lavoro suggeriti dall’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) (5).
Effetti sulla salute
In genere gli effetti sulla salute delle FAV sono condizionati dalla loro forma e dalle dimensioni, perché questi fattori ne determinano l’inalabilità, il deposito e la biopersistenza. Riguardo alle dimensioni, fibre di minor diametro hanno dimostrato di produrre maggiori effetti patogeni sull’apparato respiratorio, potendo raggiungere con più facilità le diramazioni più distali dei bronchi e gli alveoli polmonari, con un massimo di effetto per le fibre di diametro inferiore a 1 mm.
Al contrario delle fibre di amianto che, se sottoposte ad azione meccanica, si frammentano lungo l’asse longitudinale della fibra, producendo quindi fibre di diametro inferiore a quelle originarie, le FAV si frammentano lungo l’asse trasversale, dando luogo a fibre che conservano il diametro originario, ma che hanno minor lunghezza. Anche la lunghezza condizionerebbe il loro effetto patogeno, con fibre più lunghe che svolgono effetti più dannosi sul polmone, per la loro maggiore persistenza nell’apparato respiratorio, dovuta in parte alle maggiori difficoltà della loro rimozione da parte della clearence mucociliare e macrofagica. Nella patogenesi di danni all’organismo è importante, infatti, l’efficienza dei meccanismi di difesa e le caratteristiche tossicologiche delle fibre che possono variare anche in relazione a fattori di rischio voluttuari (come il fumo di sigaretta) e individuali in grado di incidere negativamente sui meccanismi difensivi che assicurano la rimozione, l’allontanamento e l’espulsione o la dissoluzione delle particelle o fibre depositate, in rapporto al livello, durata e modalità di esposizione.
La patogenicità di una determinata fibra vetrosa è condizionata in maniera significativa dalla sua biopersistenza: più a lungo una fibra persiste nel tratto respiratorio, tanto maggiore è la probabilità che essa determini effetti nocivi sul mediolungo periodo. La biopersistenza delle FAV pare sia dovuta alla loro composizione, in particolare alla caratteristica di insolubilità della fibra nei fluidi extracellulari, con minore persistenza per le lane minerali (più solubili per un alto tenore di alcali o un basso tenore di alluminio o boro) e maggiore per le fibre ceramiche refrattarie e le fibre di vetro per usi speciali (meno solubili per alto contenuto di alluminio silicato).
La maggiore lunghezza e persistenza delle fibre determinerebbe una maggiore probabilità di insorgenza e mantenimento di un processo infiammatorio a carico del sistema bronchiolo-alveolare, con l’eventualità che la riparazione fibroblastica associata determini un effetto fibrotico sul polmone. Le FAV possono andare incontro a processi chimico-fisici di dissoluzione ed eliminazione, in grado di comportare per alcune fibre la persistenza nel polmone solo per pochi giorni mentre per altre invece la persistenza si protrae per anni. In ambito occupazionale è ormai presente un’ampia letteratura relativa agli effetti sino ad ora studiati nei lavoratori esposti alle fibre vetrose; di seguito si propone una sintesi delle evidenze più significative per trarre indicazioni utili alla programmazione degli interventi di prevenzione (8,9).
Effetti irritativi: l’irritazione cutanea è il più comune dei problemi di salute associato alla manipolazione delle FAV, con prevalenze tra i lavoratori del 10-20% in alcune indagini (Arbosti 1980; Maggioni, 1980). Essa è dovuta al contatto con le fibre di maggiori dimensioni (4-5 μm), e aumenta con la dimensione delle fibre. Può scomparire dopo la cessazione dell’esposizione. E’ descritta, inoltre, irritazione oculare a seguito di deposito di polveri di vetro nelle membrane oculari.
La dermatite irritativa o mista da fibre di vetro è l’unica patologia professionale tabellata dovuta a FAV riconosciuta dall’INAIL come professionale tra i lavoratori esposti a fibre di vetro, ai sensi della tabella sulle malattie professionali nell’industria contenuta nel D.M. 9 aprile 2008, la cui comparsa è riconosciuta in modo automatico in addetti a lavorazioni dove è presente questa esposizione.
Effetti infiammatori e fibrogeni sulle strutture polmonari: sono stati condotti diversi studi, sia su animali sia su campioni di lavoratori esposti a FAV, per mezzo di indagini radiologiche, per verificare l’eventuale effetto fibrogeno sul polmone. Riassumendo i risultati degli studi più significativi, si rileva una situazione che non permette di giungere a conclusioni chiare, anche perché, in alcuni casi, non sono stati descritti importanti fattori quali la durata e la tipologia dell’esposizione lavorativa, dell’eventuale esposizione al fumo di sigaretta o ad altri agenti.
Gli studi, a tutt’oggi, non permettono di affermare che l’esposizione a fibre di vetro e lana di roccia abbia un effetto fibrogeno, anche se non è possibile escludere con certezza un nesso fra esposizione e fibrosi polmonare, dato che negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi report di soggetti affetti da fibrosi polmonare con pregressa esposizione a FAV, in particolare, quelle caratterizzate da maggiore persistenza, come le lane di vetro e di roccia e le fibre ceramiche refrattarie (Takahashi et al., 1996;Yamaya et al., 2000; Guber et al., 2006; Lockey et al., 2012). Una recente revisione sull’argomento sottolinea la necessità di studi epidemiologici di grandi dimensioni che accertino se e quali FAV possano causare una fibrosi polmonare (Fireman, 2014).
Effetti cancerogeni: il meccanismo patogenetico delle FAV sulla genesi di tumori non è stato ancora completamente chiarito, anche se i risultati di vari studi indicano che la loro azione cancerogena è probabilmente dovuta alla produzione di radicali liberi di ossigeno e alla loro interazione con il DNA, oltre che ad un’azione genotossica diretta. Le principali evidenze descritte sono tratte dal volume monografico della International Agency for Research on Cancer (IARC) (2).
Sono state studiate in particolare due grandi coorti di esposti a lana di vetro, una negli Stati Uniti (Enterline 1983, 1987) e una in Europa (Saracci 1984; Simonato et al., 1987) e analizzando i risultati degli studi condotti, la IARC, nella monografia del 1988, aveva concluso affermando che non c’era adeguata evidenza di cancerogenicità sull’uomo per la lana di vetro, mentre le lane minerali, le fibre refrattarie e le microfibre di vetro erano classificate come possibili cancerogeni per l’uomo (Gruppo 2B).
Nella coorte statunitense, composta da oltre 16.000 addetti alla produzione di fibre di vetro e di lana di roccia di scoria in 17 stabilimenti, è stato rilevato un eccesso di mortalità per cancro al polmone, ma senza un significativo effetto dose-risposta, e non correlato né alla durata di esposizione, né al tempo trascorso dalla prima esposizione.
Nella corte europea, composta da circa 25.000 lavoratori impiegati in 13 impianti produttivi, è stato osservato un eccesso di mortalità per cancro al polmone negli esposti a lana di roccia e scorie, correlato con il tempo trascorso dalla prima esposizione, ma non con la durata dell’esposizione.
Ulteriori studi caso-controllo condotti all’interno di queste coorti di lavoratori, in cui era possibile controllare per differenze nell’abitudine al fumo e nell’esposizione ad altri fattori di rischio occupazionali tra casi e controlli, non hanno evidenziato eccessi significativi di tumori polmonari (Marsh et al. 2001; Stone et al. 2001; Gardner et al., 1988; Kjaerheim et al., 2002). In questi studi non sono state rilevate associazioni con la durata di esposizione, né l’esposizione cumulata e la latenza dal primo impiego, né si sono evidenziate delle differenze significative fra i diversi tipi di produzione.
I risultati di studi sperimentali sugli animali hanno confermato la potenziale cancerogenicità delle FAV; infatti, sebbene non sia stata ottenuta una risposta cancerogena significativa con esposizione alle fibre per via inalatoria, ciò è avvenuto quando queste sono stata direttamente inserite nelle cavità pleuriche degli animali.
L’aggiornamento del follow-up delle coorti statunitense ed europea, insieme ai risultati degli studi caso-controllo annidati nelle coorti citati sopra, hanno evidenziato l’inadeguata evidenza di cancerogenicità nell’uomo per le la lana di vetro, di roccia e di scoria, spingendo la IARC a riclassificarle nel 2002 dal gruppo 2B al gruppo 3 (non classificabile come cancerogeno per l’uomo), mentre le fibre di vetro a filamento continuo erano già classificate nel gruppo 3 nella monografia del 1988. Sono invece classificate come possibili cancerogeni per l’uomo (classe 2B) le fibre ceramiche refrattarie e le fibre di vetro per scopi speciali.
Una meta-analisi degli studi effettuati dopo la pubblicazione della monografia IARC del 2002, fino al 2008, condotta sui risultati di 16 studi epidemiologici, ha calcolato un rischio relativo complessivo di tumore del polmone (meta-RR) pari a 1.21 (IC 95%: 1.11-1.32) tra gli esposti a lana di vetro e di roccia, con rischi più elevati negli addetti alla produzione (RR=1.26) rispetto agli utilizzatori finali (RR=1.06). In questa metaanalisi anche il rischio di tumori testa-collo (labbra, bocca, naso e seni paranasali, faringe, laringe) era aumentato tra gli esposti a FAV (meta-RR= 1.36 (95% CI: 1.13 to 1.63) (Lipworth et al., 2009). L’assenza di una relazione dose-risposta e il basso rischio osservato tra gli utilizzatori di FAV in quasi tutti gli studi esaminati indicherebbe comunque, secondo gli autori, che la relazione tra esposizione a FAV e occorrenza di tumori del polmone non sia di tipo causale, ma dovuta a confondimento da parte del fumo di sigaretta e di altre esposizioni occupazionali.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che l’esposizione non-occupazionale della popolazione generale per tutta la vita a fibre ceramiche refrattarie ad un livello di 1 fibra/litro, provocherebbe un eccesso di tumori del polmone pari ad 1 caso per milione di abitanti, che salirebbe fino ad un eccesso di 1 caso su 10.000 esposti per un livello di esposizione pari a 0.1 fibre/cm2 (o 100 fibre/ litro).