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Fibre vetrose, che danni provocano?

fibre vetrose artificiali

Fibre vetrose, sono pericolose?

I più importanti settori industriali che dominano l’economia moderna, come l’edilizia e i trasporti, fanno largo uso delle cosiddette “FAV”, ovvero delle fibre vetrose artificiali. Si tratta di fibre sintetiche inorganiche che trovano impiego nella produzione di pannelli per l’isolamento termico/acustico di pareti e pavimenti, così come di carrozze ferroviarie e navi, ma che si rivelano utili anche nella realizzazione di silenziatori industriali o nella coibentazione di involucri.

Questa versatilità nei diversi comparti industriali si deve principalmente all’estrema resilienza di queste fibre e alla loro particolare refrattarietà sia all’azione corrosiva degli agenti chimici esterni, che ai fattori climatici come l’umidità. Le materie prime che compongono le FAV, conosciute anche come “Man-made vitreous fibers”, consistono in materiali estratti da cave e miniere, come pietre calcaree, sabbia e argilla, oppure in altre sostanze chimiche come acido borico, allumina e ceneri di soda.

A seconda del processo produttivo attraverso cui sono realizzate, le fibre vetrose artificiali si distinguono in tre macrocategorie:

  • fibre di vetro a filamento continuo, comunemente chiamate “filamenti”, utilizzate in genere per il rinforzo di tessuti e materiali plastici in virtù del contenuto di silice in esse presente;
  • lane, che a loro volta ricomprendono la lana di roccia, di vetro, di scoria, HT wool e AES, altrimenti dette “lane minerali”, impiegate soprattutto in edilizia oppure nei dispositivi di filtrazione;
  • fibre ceramiche refrattarie, utili nell’industria automobilistica, nelle fonderie e, più in generale, in ambienti produttivi caratterizzati da alte temperature.

Completano il quadro le lane di vetro per scopi speciali, indicate perlopiù per il settore aerospaziale.

Le fibre vetrose presentano alcune proprietà fisiche (come il diametro) e chimiche (il contenuto di ossidi alcalini e alcalino terrosi) molto diverse tra loro, in grado di determinare effetti differenti sulla salute dell’uomo. Difatti, le fibre che contengono elevate percentuali di ossidi alcalini sono facilmente biosolubili, con un tempo di permanenza all’interno dei polmoni piuttosto ridotto. Conseguentemente, l’eventuale inalazione di fibre come la lana di roccia, non ha ripercussioni negative sullo stato di salute dell’individuo in quanto queste vengono smaltite agevolmente, disciogliendosi nei liquidi fisiologici del corpo umano.

Anche la dimensione può avere un impatto sulle vie respiratorie, poiché le fibre aventi un diametro modesto si insinuano più facilmente al loro interno provocando effetti patogeni.

L’ampia diffusione delle fibre vetrose, correlata anche alla progressiva sospensione del ricorso al pericoloso amianto, ha posto quindi numerosi interrogativi circa i potenziali rischi dovuti all’esposizione dei lavoratori verso queste sostanze. Il Ministero della Salute ha così approvato un apposito documento contenente delle linee guida per il trattamento di tali rischi, prevedendo una serie di misure preventive volte a tutelare la salute dell’uomo in caso di contatto o manipolazione.

Nel dettaglio, sono state individuate due note che riclassificano le fibre vetrose in base alla loro pericolosità: la nota “Q” e la nota “R”.
La nota “Q” reputa non cancerogene tutte quelle fibre che risultano altamente biosolubili in seguito ad un apposito test condotto. Tali materiali non sono soggetti a sfaldature e perdono facilmente la propria struttura fibrosa se vengono aerodispersi.

Invece la nota “R” è più incentrata sulle dimensioni delle fibre, considerando queste non cancerogene a condizione che il loro diametro medio ponderale sia superiore a 6 micron e si mantenga tale anche in caso di frammentazione.

Mentre le lane minerali soddisfano entrambi i requisiti, non risultando pertanto nocive per l’uomo, le fibre ceramiche refrattarie possono portare a disturbi di varia entità come:

  • irritazioni cutanee che si manifestano in seguito al contatto con fibre di maggiori dimensioni, ma che generalmente scompaiono in seguito alla cessazione dell’esposizione. Tra questi effetti sono da annoverare anche le dermatiti irritative che rappresentano, ad oggi, l’unica vera patologia professionale riconducibile ai soggetti esposti a fibre di vetro;
  • irritazioni oculari causate, ad esempio, dal deposito di particelle di polvere di vetro all’interno della membrana oculare;
  • infiammazioni e fibrosi polmonari, dovute alle fibre contenute in sospensione nell’aria, che penetrano nel sistema polmonare, diramandosi velocemente nei bronchi e negli alveoli polmonari;
  • alterazioni neoplastiche, generate dalla produzione di radicali liberi di ossigeno che interagiscono con il DNA.

La potenziale pericolosità delle fibre artificiali è stata a lungo oggetto di studi e test clinici. Sebbene sia stata individuata una correlazione fra l’esposizione a FAV e l’insorgenza delle patologie descritte, ad oggi non si è ancora giunti a delle conclusioni definitive che possano stabilire un vero e proprio rapporto di causa effetto fra i due eventi.

In Italia, non sono ancora state quantificate le soglie limite per l’esposizione alle fibre vetrose artificiali. Per consuetudine, ci si ispira quindi ai valori indicati in pubblicazioni straniere, al fine di potersi meglio orientare nel trattamento delle problematiche ambientali e sanitarie.

Secondo l’attuale legislatura, il rispetto anche solo di una delle due note citate in precedenza, sarebbe sufficiente ad escludere il rischio di cancerogenicità di una fibra. Tuttavia, gli effetti delle FAV sulla salute dell’uomo sono influenzati anche da altre variabili come la capacità di reazione di quest’ultimo all’inalazione delle sostanze tossiche, nonché dai meccanismi individuali di difesa dalle aggressioni esterne che ne garantiscono l’espulsione dall’organismo.

Per tutti coloro che, per vari motivi, possono trovarsi a stretto contatto con le FAV (si pensi, ad esempio, a chi effettua in proprio dei piccoli interventi di ristrutturazione dell’ appartamento oppure a chi lavora in un cantiere) sono state pensate delle misure ad hoc allo scopo di prevenire e limitare il più possibile i danni derivanti dalle fibre vetrose.

Nel caso della lana di roccia e, più in generale, di tutte le fibre minerali è sufficiente indossare guanti, occhiali protettivi se si utilizzano prodotti posti al di sopra della testa, maschere protettive monouso e indumenti da lavoro. E’, inoltre, molto utile sciacquarsi con acqua fredda prima di lavarsi.

Per tutte le altre tipologie di fibre artificiali vetrose è opportuno adottare accorgimenti più mirati, come indossare tute da lavoro integrali in tyvek usa e getta, occhiali a tenuta, maschere antipolvere. Le varie misure di prevenzione prevedono anche di racchiudere i prodotti interessati in contenitori adatti, avendo cura di manipolarli con la dovuta attenzione onde evitare un loro eventuale sfaldamento.

Occorre, infine, areare l’area di lavoro e circoscriverla consentendo l’accesso solo al personale preposto, mantenendo la zona pulita mediante aspiratori ad alta efficienza.

Come si fa lo smaltimento delle fibre vetrose?

Per determinare le caratteristiche tossicologiche delle fibre vetrose, occorre esaminare la concentrazione di ossidi alcalini e alcalino-terrosi, come anche il diametro delle fibre. In sostanza, si tratta di verificare la loro rispondenza alle già citate note “Q” ed “R”, avvalendosi di indagini funzionali come il test di biosolubilità.

A titolo di esempio, un rifiuto costituito da lana di roccia sarà considerato pericoloso se dichiarato non conforme alla nota “Q” e se di ridotta dimensione. Il codice che viene assegnato per identificare questa tipologia di rifiuti è il CER 17.06.03*, diversamente dai rifiuti non pericolosi ai quali è attribuito il codice CER 17.06.04.

I riferimenti normativi riguardanti la pericolosità delle FAV sono contenuti all’interno delle Direttive 67/548/CE e 99/45/CE e s.m.i. e nel regolamento CE nr. 1272/2008 (CPL) del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, definitivamente entrato in vigore in data 1 giugno 2015.

L’ulteriore Decreto Legislativo nr. 152/2006 pone a carico del produttore dei rifiuti l’obbligo della corretta gestione e classificazione degli stessi. Infatti, questi dovrà assegnare il codice CER sulla base di quanto detto. Indipendentemente dalla loro pericolosità, la legislatura dispone che i rifiuti costituiti da FAV siano collocati internamente alle discariche per rifiuti non pericolosi, purché depositati in celle dedicate in modo tale da evitarne lo sfaldamento.

Le celle sono realizzate avvalendosi delle stesse metodologie previste per le discariche dei rifiuti inerti e prevedono una spaziatura tale da permettere il passaggio di automezzi senza provocare la frantumazione dei materiali fibrosi. Successivamente al loro conferimento in discarica, occorre garantire l’adeguata copertura di questi rifiuti con specifici materiali aventi consistenza plastica, quindi in grado di adattarsi al volume da ricoprire grazie alla loro malleabilità.

Se nel corso di lavori cantieristici dovesse rilevarsi la presenza di materiali fibrosi, si renderà opportuno valutarne l’immediata rimozione anche senza l’intervento delle apposite squadre abilitate. Sarà sufficiente informare il personale dipendente e fornire tutti i mezzi di protezione individuale al fine di scongiurare qualsivoglia rischio di contaminazione.

Un ulteriore accorgimento da adottare consiste nell’evitare operazioni o manovre incaute che possano inficiare l’intero cantiere. Terminata la rimozione si procederà allo smaltimento dei rifiuti nelle discariche, come già visto. Se, al contrario, l’operazione di rimozione non fosse possibile per svariati motivi, allora occorrerà consolidare il materiale fibroso con delle vernici appropriate e isolare il tutto.

Le alte performance delle fibre vetrose artificiali ne hanno consentito una diffusione capillare sia in Italia che all’estero, infatti si stima che nell’ultimo ventennio la loro produzione abbia sfiorato i 9 milioni di tonnellate, con oltre 100 imprese produttrici dislocate in varie nazioni. Ultimamente, le lane di roccia e di scoria hanno ceduto il passo alle lane a basso contenuto di silicati e ad alto contenuto di ossidi di alluminio. Resta, invece, limitata la produzione di lane di vetro per scopi speciali.

Sebbene la comunità scientifica non sia del tutto concorde su alcuni aspetti riguardanti la pericolosità delle FAV, le linee guida ad oggi disponibili rappresentano comunque un utile riferimento per tutti coloro che quotidianamente si trovino a stretto contatto con questi materiali.